Storie di Accoglienza

Intervista a Fationa e Sonja

Sonja ha solo pochi mesi quando si sente male. Una sera di febbraio 2018 viene portata al Pronto soccorso, e la situazione appare subito molto grave.

Della diagnosi comunicata alla famiglia, solo due parole sono rimaste impresse nella mente di sua madre Fationa: “Tumore” e “non sappiamo se è curabile”.  Al Policlinico San Matteo di Pavia  la piccola  viene sottoposta a nuovi e complessi esami; è provata fisicamente ma riceve prontamente le prime cure e viene ricoverata nel reparto di oncoematologia pediatrica.

Ecco il suo racconto.

“Sono Fatjona, ho 23 anni e vengo dall’Albania. Io e mio marito ci siamo sposati poco più di un anno fa, e la nascita di Sonja è stato un evento felice per tutta la famiglia! Purtroppo, la nostra bambina è stata male all’improvviso, e a soli quattro mesi dalla sua nascita è iniziato un incubo, e le paure peggiori di un genitore di colpo si sono materializzate! Per me l’arrivo in reparto è stato uno shock, per la prima volta ho visto tanti bambini malati, e ho realizzato che anche la mia  piccolina avrebbe dovuto affrontare lo stesso percorso. Nel nostro caso, alla sofferenza per la malattia di Sonja, si è aggiunta anche la difficoltà di essere in un Paese straniero, con una lingua che non è la nostra, e che a volte ha rappresentato un altro ostacolo da superare, perché, non capire bene ha reso le cose ancora più frustanti, forse non mi ha permesso di comprendere tutto quello che mi è stato detto, e allo stesso tempo, mi ha impedito di chiedere di più, di fare più domande. Nonostante ciò, ho impresse nella memoria le parole del Dottor Bonetti, persona, oltre che medico, che mi ha sostenuta nei momenti più duri, spiegandomi pazientemente ogni cosa, ogni passaggio, e mi ha ridato speranza dicendomi che sebbene ci sarebbe voluto un lungo percorso di cura, per Sonja c’era speranza. 

Così è cominciata la nostra battaglia.

Il primo ricovero è durato 40 giorni, e quando è giunto il momento di lasciare l’ospedale, altre preoccupazioni si sono sommate a quelle della malattia. Ho cominciato a chiedermi dove avremmo potuto alloggiare, non avevo soldi e le poche persone che conoscevo in Italia non potevano aiutarmi.

Fortunatamente, l’ospedale stesso mi ha messo in contatto con l’associazione AGAL. Ancora oggi non so esprimere il sollievo e la gratitudine che ho provato quando mi è stato detto che questa associazione avrebbe accolto me e la mia piccola Sonja. Il giorno stesso delle dimissioni siamo arrivate a Casa Mirabello, e se ripenso a quel giorno, le immagine che ho nella mente sono i colori vivaci della sala giochi e una serie di dettagli, quasi insignificanti, che mi hanno dato subito un rassicurante senso di accoglienza.

La mia grande fortuna è stata quella di trovare anche altre mamme come me, con cui ho potuto condividere le mie apprensioni e a cui ho potuto chiedere consiglio. Giorgiana e Irena son le prime che mi hanno accolta, ma ognuna di loro, nel corso del tempo è stata essenziale  per affrontare questo percorso. I volontari AGAL sono stati sempre presenti e mi hanno aiutata in molti modi…la gratitudine che provo per loro non so esprimerla a parole. Dopo 4 cicli di chemioterapia si è potuto affrontare l’intervento e oggi, 5 mesi dopo l’operazione, si può finalmente dire che la mia bambina  è guarita.

A Casa Mirabello Sonja ha trascorso i suoi primi 18 mesi di vita, questa è l’unica casa che conosce. Le persone che hanno fatto parte della nostra vita, come le altre mamme con i loro bambini, e i volontari  sono stati come tante zie, tante nonne e tanti cucini. Abbiamo avuto anche tanti amici, come per esempio  i Vip Clown che la domenica sono venuti a giocare con noi. In questa casa  Sonja ha detto le sue prime parole, ha mosso i suoi primi passi e si è conquistata un futuro senza lo spettro della malattia. Ora siamo pronte a tornare in Albania dove ci aspetta il suo papà che non vede l’ora di cominciare la nostra vita come genitori, come famiglia! Ma nonostante le vicende legate alla salute di Sonja, sentiremo la mancanza di Casa Mirabello, dei medici che ci hanno assistito, delle famiglie con cui abbiamo vissuto, dei volontari e di tutte quelle persone che ci sono state vicine. Le terremmo sempre nel cuore e faranno sempre parte della nostra vita.”